L’insonnia, che sia di natura transitoria oppure cronica, colpisce un numero molto elevato di persone: probabilmente almeno la metà della popolazione italiana ha avuto almeno una volta difficoltà passeggere o occasionali di insonnia, mentre un 10% soffre costantemente o per lunghi periodi di difficoltà di sonno.
Alcuni periodi della vita possono provocare difficoltà transitorie del sonno, anche conseguenti a condizioni mediche (come la menopausa per le donne, la nascita di un figlio, dolori articolari o postoperatori), o psicologiche (preoccupazioni e stress legati a lutti, divorzi, conflittualità accese, problemi economi). In genere questa condizione evoca un quadro di insonnia transitoria
In tali casi è bene che le persone si rivolgano al medico di famiglia o allo specialista per valutare l’opportunità di risolvere il problema di sonno attraverso una cura farmacologica mirata al problema.
Avviene però che in molte persone il problema persista, nonostante i farmaci, e un periodo transitorio si cronicizzi in un disturbo duraturo. Lunghi periodi di difficoltà (più di tre mesi, come indicato nel DSM-5) a prendere o a mantenere il sonno, oppure un sonno frammentato e insoddisfacente che causa stanchezza, irritabilità dell’umore o difficoltà di concentrazione, potrebbero far pensare ad una diagnosi di insonnia cronica.
Secondo Spielman ciò avviene per i seguenti motivi (modello delle tre P, 1986): accanto ai fattori precipitanti descritti nell’insonnia transitoria, si rintracciano fattori predisponenti, come la familiarità all’insonnia, a cui si aggiungono anche dei comportamenti o delle convinzioni che sono perpetuanti il disturbo. Proprio su queste ultime si può agire per ridurre gli effetti dell’insonnia e migliorare la qualità e la quantità del sonno.
La condizione duratura di sonno inefficiente o non ristoratore può produrre convinzioni negative rispetto alla propria capacità di dormire, che comportano ansia, pensieri ricorrenti e stressanti circa il sonno che non arriva, preoccupazioni circa la inefficienza diurna legata al proprio sonno che non fanno che peggiorare le conseguenze dell’insonnia.
Talvolta le persone mettono i atto comportamenti che peggiorano l’insonnia, in modo inconsapevole. Recuperare il sonno con sonnellini diurni, utilizzare cellulari o apparecchi elettronici prima di addormentarsi, andare a letto molto presto per “recuperare”il sonno, bere alcolici per addormentarsi sono tutti rimedi che alterano il regolare ciclo sonno veglia e quindi perpetuano il disturbo del sonno.
Quando le strategie messe in atto non funzionano è utile rivolgersi anche ad uno psicologo in grado di evidenziare e correggere questi atteggiamenti cognitivi e comportamentali per migliorare la qualità del sonno.
Il protocollo CBT-I (intervento cognitivo comportamentale) è un metodo di intervento sull’insonnia psico-fisiologica che mostra sperimentalmente buoni risultati (cfr. Devoto, A; Violani C. 2009.“Curare l’insonnia senza farmaci” ed. Carocci Faber edizioni) e prevede una prima fase di valutazione e identificazione del tipo di difficoltà di sonno, in circa due sedute, seguita da circa cinque incontri di trattamento in cui le convinzioni negative e i comportamenti perpetuanti vengono sostituiti da strategie più funzionali per favorire un sonno di qualità.